ricerca / esperimenti_
Tutti noi siamo impegnati per gran parte del nostro tempo a comunicare con gli altri, conoscenti o sconosciuti che siano. La comunicazione è il tessuto della nostra vita. Senza di essa non potremmo esistere. E’ una necessità che inizia con il pianto del neonato e termina con il sospiro del moribondo. Ci accompagna per tutta la nostra esistenza. Il vincolo della comunicazione trova le sue radici nella nostra specie: siano “ultrasociali” e “ipercooperativi”. Anche quando siamo competitivi. Data questa condizione, tutti ci riteniamo esperti di comunicazione. E’ naturale. Dobbiamo esserlo. Non è qualcosa di facoltativo. Se fossimo inesperti, soccomberemmo molto rapidamente di fronte agli altri. Il Bambino piccolo apprende in fretta a diventare esperto di comunicazione, perché sa che è in gioco la sua vita. Eppure, se domandassimo alle persone che conosciamo che cosa sia la comunicazione, troveremmo spesso risposte vaghe e generiche, in gran parte insoddisfacenti. [Fondamenti di psicologia della comunicazione, Luigi Anolli, il Mulino]
Karl Erik Rosengren in “Introduzione allo studio della comunicazione” ci illustra l’etimologia del termine comunicare: Il termine comunicare è storicamente collegato alla parola comune, che deriva dal verbo latino communicare (“condividere”, “rendere comune”), a sua volta correlato alla parola latina communis (“comune”). Quando comunichiamo, incrementiamo la nostra conoscenza condivisa, cioè il “senso comune”, la precondizione essenziale per l’esistenza di qualsiasi comunità. (Rosengren, 2001, 11)
Luigi Anolli in “Psicologia della comunicazione” definisce la comunicazione come: ...uno scambio interattivo osservabile fra due o più partecipanti, dotato di intenzionalità reciproca e di un certo livello di consapevolezza, in grado di far condividere un determinato significato sulla base di sistemi simbolici e convenzionali di significazione e di segnalazione secondo la cultura di riferimento. (Anolli, 2002, 26) Il soggetto umano quindi è un essere comunicante, cosi come è un essere pensante emotivo e sociale. La comunicazione non va pertanto considerata semplicemente come un mezzo e uno strumento, pensi come una dimensione psicologica costitutiva del soggetto. Egli non sceglie se essere comunicante o meno, ma può scegliere se e in che modo comunicare. [Anolli e Ciceri 1995b, 25]
Karl Erik Rosengren in “Introduzione allo studio della comunicazione” ci illustra l’etimologia del termine comunicare: Il termine comunicare è storicamente collegato alla parola comune, che deriva dal verbo latino communicare (“condividere”, “rendere comune”), a sua volta correlato alla parola latina communis (“comune”). Quando comunichiamo, incrementiamo la nostra conoscenza condivisa, cioè il “senso comune”, la precondizione essenziale per l’esistenza di qualsiasi comunità. (Rosengren, 2001, 11)
Luigi Anolli in “Psicologia della comunicazione” definisce la comunicazione come: ...uno scambio interattivo osservabile fra due o più partecipanti, dotato di intenzionalità reciproca e di un certo livello di consapevolezza, in grado di far condividere un determinato significato sulla base di sistemi simbolici e convenzionali di significazione e di segnalazione secondo la cultura di riferimento. (Anolli, 2002, 26) Il soggetto umano quindi è un essere comunicante, cosi come è un essere pensante emotivo e sociale. La comunicazione non va pertanto considerata semplicemente come un mezzo e uno strumento, pensi come una dimensione psicologica costitutiva del soggetto. Egli non sceglie se essere comunicante o meno, ma può scegliere se e in che modo comunicare. [Anolli e Ciceri 1995b, 25]
La comunicazione è partecipazione.
Essa, infatti, prevede la condivisione dei significanti e dei sistemi di segnalazione,
nonché l’accordo sulle regole sottese a ogni scambio comunicativo.
Essa, infatti, prevede la condivisione dei significanti e dei sistemi di segnalazione,
nonché l’accordo sulle regole sottese a ogni scambio comunicativo.
il processo di significazione_
La semiotica (o semiologia) è la scienza che studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale. Secondo il punto di vista semiotico, occorre affrontare anzi tutto in che modo avviene il processo di significazione, inteso come la capacità di generare significati e come la proprietà fondamentale diogni messaggio di avere un senso per i comunicanti. Questo processo di significazione, da un lato, fa riferimento al referente (gli oggetti e gli eventi su cui comunicare); dall'altro, fa riferimento a un codice, cioè ai sistemi impiegati dagli at- tori per comunicare fra loro. Da Aristotele e da Tommaso d'Aquino è stato tramandato il diagramma della significazione, qui presentato nella versione di Ogden e Richards [1923].
Esso pone In relazione tre aspetti diversi: un simbolo (come un termine linguistico; per esempio, /cane/), il referente (l'oggetto o l'evento che è comunicato; nel nostro caso, il cane come animale domestico che abbaia) e la referenza (la rappresentazione mentale, il concetto dell'oggetto o dell'evento che viene comunicato; nel nostro esempio, il concetto di cane). Di conseguenza, il simbolo o segno (una parola o un gesto) non ha rapporto diretto con la realtà (il referente), ma soltanto con il concetto e con l'idea mentale (la referenza). La convinzione che esista un rapporto diretto fra il segno e il referente è stata definita da Eco [1975] come fallacia referenziale. Per contro, ogni simbolo è un prodotto culturale ed esprime un determinato contenuto culturale.
equivalenza e inferenza del segno_
Riguardo al “segno” esistono due principali accezioni: il segno come equivalenza e il segno come inferenza.
Il segno come equivalenza
In riferimento alla prima, secondo de Saussure [1916] e la prospettiva strutturale, il segno è inteso come l'unione di un'immagine acustica (il significante o espressione; per esempio, la stringa di suoni: /c-a-n-e/) e di un'immagine mentale (il significato o contenuto; nel nostro caso, il significante di cane.) Significante e significato, espressione e contenuto sono due facce della medesima medaglia (il segno), in quanto non c'è l'uno senza l'altro in un rapporto di interdipendenza reciproca. In quest'ottica occorre parlare di funzione semiotica (o funzione segnica), poiché il segno non va inteso come una realtà fisica (concezione ingenuamente naturalistica del segno), bensì come una relazione fra due funtivi. Il segno è inteso in termini di equivalenza, poiché vi sarebbe una corrispondenza piena e stabile fra espressione e contenuto, regolata da una relazione di identità. Il segno, così concepito, presenta un carattere arbitrario, cioè convenzionale, in quanto legato a una determinata cultura, non motivato dalla realtà a cui fa riferimento. Infatti, non vi è niente della «luna» nelle stringhe sonore /luna/ (italiano) o /moon/ (inglese) o /mond/ (tedesco). Inoltre, ha un carattere oppositivo, poiché un determinato segno è se stesso non per le proprietà positive che possiede intrinsecamente ma per non essere nessun altro segno, in quanto si oppone a tutti gli altri segni di un determinato sistema di comunicazione. Per esempio, /pera/ si oppone a /vera/, /cera/, /nera/ ecc., ma anche a /pere/ o /pero/. La “lingua”, pertanto, in quanto “sistema di segni” è definita da de Saussure come un sistema di differenze di suoni combinati a un insieme di differenze di significati. Hjelmslev in base a queste relazioni sostiene che la lingua è forma e non sostanza, poiché la sostanza determina la forma ma non viceversa.
Il segno come inferenza
Per contro, Peirce [1868; 1894] ha definito , il segno come qualcosa che per qualcuno sta al posto di qualcos'altro, sotto qualche rispetto o capacità. In quanto tale, il segno assume la funzione di rimandare a qualcosa di diverso da sé (funzione di rimando). A questo riguardo un segno tipico è quello di indicare, in cui non conta l'indice puntato, bensì l'oggetto verso cui il dito è puntato. Sulla base del rapporto con il referente,
Peirce individua tre tipi di segni:
- le icone, caratterizzate da una relazione di somiglianza con le proprietà del referente;
- gli indici, caratterizzati da un rapporto di contiguità fisica con l'oggetto o con l'evento cui si riferiscono;
- i simboli, per i quali la connessione con il referente è stabilita per contiguità ed è appresa; risulta quindi arbitraria.
In questa prospettiva il segno è inteso come inferenza, poiché costituisce un indizio da cui trarre una conseguenza, così come le nuvole sono segno di pioggia o come il fumo è indizio di fuoco. Il segno come indizio comporta la presenza di modelli mentali che, sulla base di schemi tratti dalla logica o dall'esperienza, con- sentono di individuare gli aspetti mancanti o carenti e di cogliere il senso dei messaggi (frasi, gesti, espressioni mimiche ecc.). La concezione di segno come inferenza consente di spiegare la variabilità e la plasticità nell’impiego dei segni stessi, per cui, in determinate circostanze, uno può usare uno specifico segno al posto di un altro, anche se in modo provvisorio. Per esempio, in una situazione di trasloco e con l'appartamento ancora vuoto, uno può chiamare «sedia» una cassa contenente libri, anche se non lo è affatto (fenomeno della risemantizzazione contestuale). Inoltre, il segno come inferenza contribuisce a spiegare lo scarto fra ciò che è detto e ciò che è implicato da quanto è stato detto. Infatti, in linea di principio, un soggetto comunica di più di quanto dica. Il concetto di segno, pur costituendo un aspetto fondamentale della comunicazione, si inserisce in un processo più esteso. In particolare, il segno come equivalenza implica la nozione di codice, mentre il segno come inferenza rimanda alla nozione di contesto. (Anolli, 2002, 26)
Il segno come equivalenza
In riferimento alla prima, secondo de Saussure [1916] e la prospettiva strutturale, il segno è inteso come l'unione di un'immagine acustica (il significante o espressione; per esempio, la stringa di suoni: /c-a-n-e/) e di un'immagine mentale (il significato o contenuto; nel nostro caso, il significante di cane.) Significante e significato, espressione e contenuto sono due facce della medesima medaglia (il segno), in quanto non c'è l'uno senza l'altro in un rapporto di interdipendenza reciproca. In quest'ottica occorre parlare di funzione semiotica (o funzione segnica), poiché il segno non va inteso come una realtà fisica (concezione ingenuamente naturalistica del segno), bensì come una relazione fra due funtivi. Il segno è inteso in termini di equivalenza, poiché vi sarebbe una corrispondenza piena e stabile fra espressione e contenuto, regolata da una relazione di identità. Il segno, così concepito, presenta un carattere arbitrario, cioè convenzionale, in quanto legato a una determinata cultura, non motivato dalla realtà a cui fa riferimento. Infatti, non vi è niente della «luna» nelle stringhe sonore /luna/ (italiano) o /moon/ (inglese) o /mond/ (tedesco). Inoltre, ha un carattere oppositivo, poiché un determinato segno è se stesso non per le proprietà positive che possiede intrinsecamente ma per non essere nessun altro segno, in quanto si oppone a tutti gli altri segni di un determinato sistema di comunicazione. Per esempio, /pera/ si oppone a /vera/, /cera/, /nera/ ecc., ma anche a /pere/ o /pero/. La “lingua”, pertanto, in quanto “sistema di segni” è definita da de Saussure come un sistema di differenze di suoni combinati a un insieme di differenze di significati. Hjelmslev in base a queste relazioni sostiene che la lingua è forma e non sostanza, poiché la sostanza determina la forma ma non viceversa.
Il segno come inferenza
Per contro, Peirce [1868; 1894] ha definito , il segno come qualcosa che per qualcuno sta al posto di qualcos'altro, sotto qualche rispetto o capacità. In quanto tale, il segno assume la funzione di rimandare a qualcosa di diverso da sé (funzione di rimando). A questo riguardo un segno tipico è quello di indicare, in cui non conta l'indice puntato, bensì l'oggetto verso cui il dito è puntato. Sulla base del rapporto con il referente,
Peirce individua tre tipi di segni:
- le icone, caratterizzate da una relazione di somiglianza con le proprietà del referente;
- gli indici, caratterizzati da un rapporto di contiguità fisica con l'oggetto o con l'evento cui si riferiscono;
- i simboli, per i quali la connessione con il referente è stabilita per contiguità ed è appresa; risulta quindi arbitraria.
In questa prospettiva il segno è inteso come inferenza, poiché costituisce un indizio da cui trarre una conseguenza, così come le nuvole sono segno di pioggia o come il fumo è indizio di fuoco. Il segno come indizio comporta la presenza di modelli mentali che, sulla base di schemi tratti dalla logica o dall'esperienza, con- sentono di individuare gli aspetti mancanti o carenti e di cogliere il senso dei messaggi (frasi, gesti, espressioni mimiche ecc.). La concezione di segno come inferenza consente di spiegare la variabilità e la plasticità nell’impiego dei segni stessi, per cui, in determinate circostanze, uno può usare uno specifico segno al posto di un altro, anche se in modo provvisorio. Per esempio, in una situazione di trasloco e con l'appartamento ancora vuoto, uno può chiamare «sedia» una cassa contenente libri, anche se non lo è affatto (fenomeno della risemantizzazione contestuale). Inoltre, il segno come inferenza contribuisce a spiegare lo scarto fra ciò che è detto e ciò che è implicato da quanto è stato detto. Infatti, in linea di principio, un soggetto comunica di più di quanto dica. Il concetto di segno, pur costituendo un aspetto fondamentale della comunicazione, si inserisce in un processo più esteso. In particolare, il segno come equivalenza implica la nozione di codice, mentre il segno come inferenza rimanda alla nozione di contesto. (Anolli, 2002, 26)
La scrittura XHU nasce come un insieme di segni grafici, inizialmente associati alle lettere dell’alfabeto italiano; una scrittura crittografata piuttosto semplice. Negli anni, la scrittura XHU si è evoluta in un sistema di segni più complesso e articolato al punto di possedere una grammatica propria e riconoscibile.
Ai segni nel tempo sono stati associati dei foni, inizialmente semplici suoni vocali che poi sono evoluti in veri e propri fonemi riconoscibili e riproducibili.
Fono: ciascuna delle più piccole unità di suono considerata indipendentemente dal sistema linguistico a cui appartiene.
Fonema: unità linguistica dotata di valore distintivo, ossia una unità che può produrre variazioni di significato se scambiata con un'altra unità: ad esempio, la differenza di significato tra l'italiano tetto e detto è il risultato dello scambio tra il fonema /t/ e il fonema /d/.
Il processo di associazione dei suoni ai segni è avvenuto principalmente attraverso un arbitraria assegnazione di foni a simboli, successivamente attraverso esercizi condotti con altri soggetti a cui venivano presentati specifici segni scelti e ai quali veniva chiesto di associare un suono attraverso la voce.
La voce manifesta e trasmette numerose componenti di significato oltre alle parole. È impossibile pronunciare una parola qualsiasi come sedia o libro senza una maggiore (o minore) partecipazione e senza una qualche indicazione di interesse (o di disinteresse). Nell'atto di pronunciare una parola, assieme agli elementi linguistici (o segmentali) sono associati gli aspetti prosodici dell'intonazione e quelli paralinguistici (o soprasegmentali) del tono, del ritmo e dell'intensità dell 'eloquio. La sintesi degli aspetti vocali verbali e degli aspetti vocali non verbali costituisce l'atto fonopoietico. [Anolli e Ciceri 1997a]
Esso fa riferimento al canale vocale-uditivo che richiede una quantità minima di energia fisica, consente la trasmissione e la ricezione dei segnali a distanza (anche in assenza di visione), è caratterizzato da rapida evanescenza e assicura un feedback completo. Infatti, possiamo udire come ci odono gli altri, mentre non possiamo vederci come ci vedono gli altri.
La voce è una sostanza fonica composta da una serie di fenomeni e processi vocali. Ad es: i riflessi (starnuto), caratterizzatori vocali (riso, pianto), vocalizzazioni (mhn ah eh) le caratteristiche extralinguistiche cioè l'insieme delle caratteristiche anatomiche permanenti ed esclusive dell'individuo. Esse sono organiche e fonetiche. Le caratteristiche paralinguistiche cioè l'insieme delle proprietà acustiche transitorie che accompagnano la pronuncia di qualsiasi enunciato e possono variare a seconda della situazione.
Ai segni nel tempo sono stati associati dei foni, inizialmente semplici suoni vocali che poi sono evoluti in veri e propri fonemi riconoscibili e riproducibili.
Fono: ciascuna delle più piccole unità di suono considerata indipendentemente dal sistema linguistico a cui appartiene.
Fonema: unità linguistica dotata di valore distintivo, ossia una unità che può produrre variazioni di significato se scambiata con un'altra unità: ad esempio, la differenza di significato tra l'italiano tetto e detto è il risultato dello scambio tra il fonema /t/ e il fonema /d/.
Il processo di associazione dei suoni ai segni è avvenuto principalmente attraverso un arbitraria assegnazione di foni a simboli, successivamente attraverso esercizi condotti con altri soggetti a cui venivano presentati specifici segni scelti e ai quali veniva chiesto di associare un suono attraverso la voce.
La voce manifesta e trasmette numerose componenti di significato oltre alle parole. È impossibile pronunciare una parola qualsiasi come sedia o libro senza una maggiore (o minore) partecipazione e senza una qualche indicazione di interesse (o di disinteresse). Nell'atto di pronunciare una parola, assieme agli elementi linguistici (o segmentali) sono associati gli aspetti prosodici dell'intonazione e quelli paralinguistici (o soprasegmentali) del tono, del ritmo e dell'intensità dell 'eloquio. La sintesi degli aspetti vocali verbali e degli aspetti vocali non verbali costituisce l'atto fonopoietico. [Anolli e Ciceri 1997a]
Esso fa riferimento al canale vocale-uditivo che richiede una quantità minima di energia fisica, consente la trasmissione e la ricezione dei segnali a distanza (anche in assenza di visione), è caratterizzato da rapida evanescenza e assicura un feedback completo. Infatti, possiamo udire come ci odono gli altri, mentre non possiamo vederci come ci vedono gli altri.
La voce è una sostanza fonica composta da una serie di fenomeni e processi vocali. Ad es: i riflessi (starnuto), caratterizzatori vocali (riso, pianto), vocalizzazioni (mhn ah eh) le caratteristiche extralinguistiche cioè l'insieme delle caratteristiche anatomiche permanenti ed esclusive dell'individuo. Esse sono organiche e fonetiche. Le caratteristiche paralinguistiche cioè l'insieme delle proprietà acustiche transitorie che accompagnano la pronuncia di qualsiasi enunciato e possono variare a seconda della situazione.
associazioni dei suoni vocali ai segni xhu_
l quasi-esperimento è stato ripetuto in 10 sedute.
Sono stati scelti 10 soggetti di età compresa tra i 13 e i 65 anni.
5 soggetti maschi, 5 soggetti femmine.
7 dei dieci soggetti (B,C,D,F,G,H,I) hanno partecipato in gruppo ad ogni seduta che si è svolta sempre nello stesso luogo. 2 (E,L) hanno seguito le istruzioni singolarmente, separati dagli altri e in diversi luoghi in cui è avvenuta la seduta. 1 soggetto (A) ha seguito le istruzioni separato dagli altri ad ogni seduta sempre nello stesso luogo.
Sono stati scelti 10 soggetti di età compresa tra i 13 e i 65 anni.
5 soggetti maschi, 5 soggetti femmine.
7 dei dieci soggetti (B,C,D,F,G,H,I) hanno partecipato in gruppo ad ogni seduta che si è svolta sempre nello stesso luogo. 2 (E,L) hanno seguito le istruzioni singolarmente, separati dagli altri e in diversi luoghi in cui è avvenuta la seduta. 1 soggetto (A) ha seguito le istruzioni separato dagli altri ad ogni seduta sempre nello stesso luogo.
I quasi esperimenti non controllano tutti gli aspetti, in particolare perché i soggetti possono essere sottoposti alle varie condizioni sperimentali soltanto in ragione d raggruppamenti già costituiti. Il ricercatore non può manipolare a suo piacimento i livelli della variabile indipendente ma li prende così come sono in natura. In alcuni casi il ricercatore non può manipolare un fattore, in altri casi non può affidare al caso l’assegnazione dei soggetti alle diverse condizioni sperimentali. Costrizioni di questa natura impediscono che si possa condurre un esperimento vero e proprio. [campbell, Stanley, 1963]
Sono stati scelti ogni volta 10 segni grafici da porre all’attenzione di tutti i partecipanti.
E’ stato chiesto di:
- osservare ciascun segno grafico e associare un suono attraverso la sola voce.
- trasferire nel suono le emozioni/suggestioni evocate dal segno.
- scrivere sotto il segno le parole (cose/sensazioni/colori/emozioni) evocate dal segno.
Durante l’esercizio sono state osservate le seguenti variabili:
- Il tono: la frequenza fondamentale della voce.
- Il profilo d'intonazione: l'insieme delle variazioni nel tono nella pronuncia dell'enunciato.
- Intensità: il volume della voce
- Il tempo: determina la successione dell'eloquio e le pause, comprende durata, velocità, velocità di articolazione, pause piene e vuote dell'enunciato.
Le componenti della voce verbali
- Fonologia (pronuncia della parola)
- Lessico e semantica (vocabolario)
- Grammatica (morfologia e sintassi)
- Profilo prosodico (tono)
- Prominenza (accentuazione elemento)
Le componenti della voce non verbali
- Linguistiche
- Paralinguistiche
Le qualità non verbali della voce
- Biologici (sesso ed età)
- Sociali (cultura, classe sociali, professione, regione di provenienza)
- Di personalità (es.: tratti di personalità stabile come umore depresso ha voce piatta)
- Psicologici e transitori collegati con esperienze emotive, stati cognitivi di dubbio o certezza e fenomeni di discomunicazione.
Fase di encoding
Sono stati esaminati e misurati i correlati acustici dell’espressione vocale delle emozioni.
Ogni emozione è caratterizzata di un preciso e distintivo profilo vocale. Ad es. collera, paura, tristezza, gioia, disprezzo e tenerezza. Gli studi sull’encoding confermano la capacità del canale vocale non verbale di trasmettere in modo autonomo precise e distinte informazioni sugli stati affettivi del soggetto in modo indipendente dagli aspetti linguistici dell'enunciato.
Il silenzio
Anche il silenzio è un modo strategico di comunicare, il suo significato varia con le situazioni, con le relazioni e con la cultura di riferimento. In generale esso attribuisce ambiguità, può essere segnale sia di ottimo che di pessimo rapporto, sia di comunicazione intesa o deteriorata.
Il silenzio ha diverse funzioni:
Ogni seduta ha coinvolto un istruttore e un osservatore muto.
Ogni seduta ha avuto una durata di circa 2 ore in ambiente privo di rumori o stimolazioni sonore e visive.
Sono stati esaminati e misurati i correlati acustici dell’espressione vocale delle emozioni.
Ogni emozione è caratterizzata di un preciso e distintivo profilo vocale. Ad es. collera, paura, tristezza, gioia, disprezzo e tenerezza. Gli studi sull’encoding confermano la capacità del canale vocale non verbale di trasmettere in modo autonomo precise e distinte informazioni sugli stati affettivi del soggetto in modo indipendente dagli aspetti linguistici dell'enunciato.
Il silenzio
Anche il silenzio è un modo strategico di comunicare, il suo significato varia con le situazioni, con le relazioni e con la cultura di riferimento. In generale esso attribuisce ambiguità, può essere segnale sia di ottimo che di pessimo rapporto, sia di comunicazione intesa o deteriorata.
Il silenzio ha diverse funzioni:
- Legami affettivi (avvicinare o allontanare)
- Di valutazione (consenso o dissenso)
- Di rivelazione (rendere o meno manifesto qualcosa)
- Di attivazione (può indicare una forte concentrazione mentale o una dispersione mentale)
Ogni seduta ha coinvolto un istruttore e un osservatore muto.
Ogni seduta ha avuto una durata di circa 2 ore in ambiente privo di rumori o stimolazioni sonore e visive.
risultati osservabili_
- Tutti i soggetti sono riusciti ad associare un fono / suono ad almeno 5 dei segni presentati in ogni seduta.
- Molti soggetti hanno mostrato una tendenza a proporre sempre la stessa gamma di foni / suoni nonostante il segno fosse diverso. (quasi come se ogni soggetto avesse un propria “proposta” di risposte sonore e “vocali” agli stimoli visivi)
- Nessuna differenza rilevante delle variabili tra il gruppo dei maschi e quello delle femmine.
- Maggiore velocità di elaborazione nei soggetti più giovani.
- Tendenza a ricorrere alle componenti verbali della voce nei soggetti di età superiore ai 30.
- Tendenza a ricorrere al silenzio di valutazione nel caso di mancata associazione in quasi tutti i soggetti.
Il silenzio è un atto comunicativo associato a situazioni sociali in cui vi è una distribuzione nota e asimmetrica di potere sociale fra i partecipanti. Nel caso di discrepanza di status sociale, l'individuo che occupa la posizione subalterna tende a mantenersi in una condizione di silenzio e di ascolto. Per esempio, fra i wolof del Senegal il silenzio è una strategia comunicativa per assumere uno status superiore nello scambio dei saluti: saluta per primo chi si percepisce di livello sociale inferiore. Quando si incontrano due persone che si ri- tengono di pari posizione, dopo un certo periodo di silenzio e un saluto ritualistico abbreviato, si chiedono reciprocamente conto delle ragioni per cui ciascuno non ha iniziato a salutare. Anche fra i maori della Nuova Zelanda il silenzio costituisce un importante atto comunicativo per regolare i rapporti sociali: in una conversazione hanno diritto di parola le persone che hanno maggiore potere sociale, mentre chi è giovane o in una posizione subalterna rimane in silenzio per deferenza e rispetto. Situazioni analoghe succedono anche nelle culture occidentali, dove in un'azienda, in un partito, in una scuola parla di più chi ha maggiore peso decisionale e sta più in silenzio chi è in una posizione subordinata.
In alcuni soggetti l’esposizione ai segni (almeno 1 segno su 10) ha accentuato l’utilizzo di componenti vocali non verbali.
Le componenti vocali non verbali determinano la qualità della voce di un individuo. Essa va intesa come la sua «impronta vocalica», generata dall'insieme delle caratteristiche exçra-linguistiche e paralinguistiche sopra menzionate. Grazie a questa «impronta vocalica» siamo in grado di riconoscere con facilità una voce familiare in mezzo a molte altre. Le qualità non verbali della voce interessano sostanzialmente quattro ordini di fattori: a) /attori biologici, come il sesso e l'età (gli uomini hanno un tono assai più basso di quello delle donne per la maggiore dimensione della laringe - il cosiddetto «pomo di Adamo» -; i bambini hanno un tono molto elevato attorno ai 400-500 Hz; i giovani hanno un'intensità più elevata e un ritmo di articolazione più veloce rispetto agli anziani ecc.); b) fattori sociali, connessi con la cultura e la regione di provenienza, con la professione esercitata, con la posizione e la classe sociale di appartenenza ecc. (per esempio, la voce di chi è in una posizione sociale dominante ha un tono di voce medio più basso rispetto a quello di chi è in una posizione di subordinazione; parimenti il profilo vocale medio del manager di azienda è assai diverso rispetto a quello dell'attore, del prete o del politico); c) fattori di personalità, connessi con tratti psicologici relativamente permanenti come l'umore depresso, lo stato di ansietà e di stress, il temperamento euforico ecc. (per esempio, la voce piatta è tipica del depresso e del gregario, mentre una voce altisonante e veloce è caratteristica di una personalità energica, creativa e orgogliosa); d) fattori psicologici transitori, collegati con le esperienze emotive, con gli stati cognitivi di certezza o di dubbio o con fenomeni di discomunicazione come la seduzione, la menzogna, l'ironia e lo humour.
- Alcuni segni hanno evocato in più soggetti la stessa emozione / suggestione (fase di encoding - caratteristiche paralinguistiche ). Le emozioni riportate e osservate sono state:
- Tenerezza: ritmo regolare, tonalità grave e profilo di intonazione lineare e dal volume tenuto tendenzialmente basso. Voce distesa.
- Disprezzo: lenta articolazione delle sillabe, fonemi scanditi in maniera marcata, tono profondo e intensità piena.
- Gioia: incremento della media, della gamma e della variabilità della F° con una tonalità molto acuta e con profilo di intonazione progressivo.
- Paura: forte aumento della media, della gamma e della gamma della F°, velocità del ritmo di articolazione e forte intensità.
F° è la frequenza fondamentale della voce.
Le caratteristiche paralinguistiche, essenziali per comprendere la comunicazione vocale non verbale, sono determinate da diversi parametri: 1) il tono che è dato dalla frequenza fondamentale (F ) della voce; esso è generato dalla tensione delle corde vocali (più esse sono tese, più il tono è acuto; più sono distese, più il tono è basso); l'insieme delle variazioni del tono nel corso della pronuncia di un enunciato determina il profilo di intonazione; 2) l'intensità che consiste nel volume della voce, prodotta dalla pressione ipolaringea e dalla forza fonorespiratoria; essa varia da un volume debole a uno molto forte ed è connessa con l'accento enfatico con cui il soggetto intende sottolineare un determinato segmento linguistico dell'enunciato rispetto agli altri; 3) il tempo che determina la successione dell'eloquio e delle pause; esso comprende diversi fattori come la durata (cioè, il tempo necessario per pronunciare un enunciato, comprese le pause), la velocità di eloquio (numero di sillabe al secondo comprese le pause) e la velocità di articolazione (numero di sillabe al secondo escluse le pause), la pausa, intesa come sospensione del parlato, che è distinta in pause piene (riempite da vocalizzazioni del tipo mhm, ehm ecc.) e pause vuote (cioè, periodi di silenzio). [Psicologia della comunicazione, Anolli, il Mulino]
- le parole associate e trascritte da tutti i soggetti sono state: bellezza, uomo, donna, amore, odio, paura, leggero, solitudine, rabbia, luce, abbraccio, universo, mondo, mamma, famiglia, sesso, morte, volare, dio.
Questi sono solo una minima parte dei foni / suoni associati osservati durante le diverse sedute.
- Quasi tutti i segni che presentavano tratti curvi hanno determinato una regolarità nel ritmo e nella tonalità a differenza dei segni con forme squadrate o irregolari che hanno determinato una progressione del profilo di intonazione e del ritmo di articolazione.
conclusioni_
Lo studio qui presentato circa la genesi dei fonemi della scrittura/lingua XHU è stato il punto di partenza per numerosi ulteriori tentativi di approfondimento circa la possibilità di associare dei foni / suoni a dei segni partendo dall ‘idea che esistano archetipi / simboli “precablati” in ogni individuo.
Gli aspetti interessanti di questa ricerca sono nella concreta possibilità che esista un contenitore psichico universale, una parte dell'inconscio umano che è comune a quello di tutti gli altri esseri umani. Un “territorio” che contiene le forme o i simboli che si manifestano in tutti i popoli di tutte le culture. Segni e simboli che esisterebbero prima dell'esperienza e che in questo senso sarebbero istintivi.
Archetipo (dal greco antico ὰρχέτυπος col significato di immagine: tipos (“modello”, “marchio”, “esemplare”) e arché (“originale”); in ambito filosofico, la forma preesistente e primitiva di un pensiero (ad esempio l’idea platonica); in psicoanalisi da Jung ed altri autori, per indicare le idee innate e predeterminate dell’inconscio umano.
Jung ha sempre parlato di dominanti dell’inconscio collettivo e di immagini primordiali. Con questi termini Jung intendeva indicare motivi tipici che si ripetono spesso nei miti, nelle leggende, nelle favole ma anche, a livello personale, nei sogni, nelle fantasie e nelle visioni (più tipiche dei deliri di soggetti gravemente ammalati). Secondo Jung tutto ciò esprime un modo tipico e universale che governa il comportamento degli essere umani in ogni tempo e luogo.
In seguito Jung fece altre distinzioni distinguendo tra l’archetipo in se (come idea non percepibile ma presente solo in potenza) e la rappresentazione archetipica (cioè la sua manifestazione espressa in materiale psichico cosciente divenuto immagine. Da qui, Jung definisce l’inconscio collettivo come una struttura psichica inconscia presente nella specie umana (quindi non personale ma, transpersonale) ove gli archetipi svolgerebbero la funzione di strutture operative. Queste strutture sono a supporto dell’intero apparato psichico che ‘suggeriscono’ al soggetto immagini e dinamismi. Queste modalità sono legate al contesto storico del soggetto e della società determinando i ‘valori’ che sono condivisi sul piano della coscienza collettiva.
Nel 1949 Jung sosteneva che “…con il termine di archetipo non si intende denotare una rappresentazione ereditata, ma certi cammini ereditati, ossia un modo ereditato di funzionamento psichico, dunque il modo innato in cui il pulcino esce dall’uovo, gli uccelli costruiscono il loro nido, un certo genere di vespe colpisce con il pungiglione il ganglio motore del bruco e le anguille trovano la loro via verso le Bermude…. Questo aspetto dell’archetipo è quello biologico. Ma il quadro cambia completamente se viene osservato dall’interno, ossia nell’ambito della psiche soggettiva. Qui l’archetipo si mostra come numinoso, vale a dire come un’esperienza di fondamentale importanza”.
Il simbolo, per Jung, non è il ‘segno’ di un impulso rimosso, non è il ‘sintomo’ di un conflitto, ma il ‘mezzo’ con cui l’energia psichica viene trasformata in ‘progetti di esistenza’; rivela il ‘non ancora’ , il ‘possibile’ implicito nell’esistenza e connesso alla struttura specifica dell’uomo. L’archetipo, quindi, attraverso il simbolo agisce come mediatore tra la coscienza e l’inconscio e come trasformatore dell’energia psichica.
Negli studi che hanno portato alla concezione della scrittura XHU si è partiti da un assunto di base e che esprime in maniera semplice quanto finora è stato detto: se si stabilisce che un determinato segno è il simbolo del tempo che passa si sta usando il termine simbolo in maniera inappropriata in quanto si sta semplicemente usando quel segno per indicare convenzionalmente il tempo che avanza, mentre quel segno può essere un simbolo del tempo che scorre se si prova a cogliere quale è la relazione tra il segno e il concetto di tempo. In sostanza si tratta di provare ad intuire, per quanto possibile, in che modo quel segno esprime qualcosa circa la natura del tempo.
“Rendi cosciente l’inconscio, altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino” (C.G. Jung)
Gli aspetti interessanti di questa ricerca sono nella concreta possibilità che esista un contenitore psichico universale, una parte dell'inconscio umano che è comune a quello di tutti gli altri esseri umani. Un “territorio” che contiene le forme o i simboli che si manifestano in tutti i popoli di tutte le culture. Segni e simboli che esisterebbero prima dell'esperienza e che in questo senso sarebbero istintivi.
Archetipo (dal greco antico ὰρχέτυπος col significato di immagine: tipos (“modello”, “marchio”, “esemplare”) e arché (“originale”); in ambito filosofico, la forma preesistente e primitiva di un pensiero (ad esempio l’idea platonica); in psicoanalisi da Jung ed altri autori, per indicare le idee innate e predeterminate dell’inconscio umano.
Jung ha sempre parlato di dominanti dell’inconscio collettivo e di immagini primordiali. Con questi termini Jung intendeva indicare motivi tipici che si ripetono spesso nei miti, nelle leggende, nelle favole ma anche, a livello personale, nei sogni, nelle fantasie e nelle visioni (più tipiche dei deliri di soggetti gravemente ammalati). Secondo Jung tutto ciò esprime un modo tipico e universale che governa il comportamento degli essere umani in ogni tempo e luogo.
In seguito Jung fece altre distinzioni distinguendo tra l’archetipo in se (come idea non percepibile ma presente solo in potenza) e la rappresentazione archetipica (cioè la sua manifestazione espressa in materiale psichico cosciente divenuto immagine. Da qui, Jung definisce l’inconscio collettivo come una struttura psichica inconscia presente nella specie umana (quindi non personale ma, transpersonale) ove gli archetipi svolgerebbero la funzione di strutture operative. Queste strutture sono a supporto dell’intero apparato psichico che ‘suggeriscono’ al soggetto immagini e dinamismi. Queste modalità sono legate al contesto storico del soggetto e della società determinando i ‘valori’ che sono condivisi sul piano della coscienza collettiva.
Nel 1949 Jung sosteneva che “…con il termine di archetipo non si intende denotare una rappresentazione ereditata, ma certi cammini ereditati, ossia un modo ereditato di funzionamento psichico, dunque il modo innato in cui il pulcino esce dall’uovo, gli uccelli costruiscono il loro nido, un certo genere di vespe colpisce con il pungiglione il ganglio motore del bruco e le anguille trovano la loro via verso le Bermude…. Questo aspetto dell’archetipo è quello biologico. Ma il quadro cambia completamente se viene osservato dall’interno, ossia nell’ambito della psiche soggettiva. Qui l’archetipo si mostra come numinoso, vale a dire come un’esperienza di fondamentale importanza”.
Il simbolo, per Jung, non è il ‘segno’ di un impulso rimosso, non è il ‘sintomo’ di un conflitto, ma il ‘mezzo’ con cui l’energia psichica viene trasformata in ‘progetti di esistenza’; rivela il ‘non ancora’ , il ‘possibile’ implicito nell’esistenza e connesso alla struttura specifica dell’uomo. L’archetipo, quindi, attraverso il simbolo agisce come mediatore tra la coscienza e l’inconscio e come trasformatore dell’energia psichica.
Negli studi che hanno portato alla concezione della scrittura XHU si è partiti da un assunto di base e che esprime in maniera semplice quanto finora è stato detto: se si stabilisce che un determinato segno è il simbolo del tempo che passa si sta usando il termine simbolo in maniera inappropriata in quanto si sta semplicemente usando quel segno per indicare convenzionalmente il tempo che avanza, mentre quel segno può essere un simbolo del tempo che scorre se si prova a cogliere quale è la relazione tra il segno e il concetto di tempo. In sostanza si tratta di provare ad intuire, per quanto possibile, in che modo quel segno esprime qualcosa circa la natura del tempo.
“Rendi cosciente l’inconscio, altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino” (C.G. Jung)